Il 2020 del rap americano è una royal rumble
Erano probabilmente un paio d’anni che la scena rap statunitense non ci regalava un periodo così straripante di uscite di spessore e qualità.
Nonostante all’appello risultino ancora assenti alcuni nomi attesissimi per quest’anno come Playboi Carti, 21 Savage per Metro Boomin e la Asap Mob, per chi segue con attenzione il rap d’oltreoceano, quello appena conclusosi è stato un semestre pieno di spunti interessanti a livello artistico, tra meteore in ascesa e progetti sorprendenti.
Come era prevedibile, tra gli appassionati si è ormai scatenata la più classica delle discussioni: ‘Chi è il rapper dell’anno?’. Chiaramente si intende ad oggi, perché sarebbe alquanto inutile e pressappochistico buttarsi in previsioni con sei mesi di anticipo sulla conclusione dell’anno solare, a maggior ragione quando si aspettano ancora progetti di nomi così rilevanti come quelli sopracitati. Appurata l’abbondanza dei lavori e degli artisti che hanno brillato particolarmente in questa prima parte del 2020, abbiamo deciso di fare un breve recap di quelli che sono stati i nostri preferiti.
Partendo dal passato più recente, parliamo subito di due tra gli artisti più in voga della scena: DaBaby è attualmente il 14esimo artista più ascoltato al mondo mentre Roddy Ricch, con ogni probabilità, raggiungerà entro fine anno il miliardo di stream su Spotify con The Box, pubblicata a fine 2019.
I due nelle ultime settimane hanno rilanciato alla grande la loro hit Rockstar pubblicandone il video, un cortometraggio in cui si ritrovano armati fino ai denti a sedare un’invasione zombie, e il Black Lives Matter RMX della track – performato poi in occasione della premiazione ai Bet Awards, in cui i due sono stati rispettivamente premiati come Best Male Hip Hop Artist e Best New Artist. Ad inizio performance, DaBaby ha cantato nell’ormai iconica posizione in cui George Floyd ha perso la vita.
A dare ulteriore voce al movimento del Black Lives Matter ci ha pensato un altro dei candidati al premio di artista del 2020, Lil Baby, che con The Bigger Picture ha coronato un semestre di onnipresenza in cui ha dispensato strofe di qualità in tutti i principali progetti della scena, affermandosi come uno degli artisti più influenti e strategici di quest’anno. Peccato per l’album My Turn, che per quanto non sia un progetto da skippare, si rivela a tratti difficile da digerire a causa dell’eccessiva lunghezza e della ridondanza di alcuni brani.
L’ondata di proteste da parte dei cittadini americani contro le discriminazioni che la comunità afroamericana continua a subire non poteva non influenzare il mondo del rap, che da sempre si fa portavoce di questa protesta, e quindi ci aspettiamo che questo sia uno dei temi centrali affrontati nei prossimi progetti da artisti come Joey Badass, J Cole e Kendrick Lamar.
Ma restando nel presente, l’influenza del tema ha avuto effetti benefici anche per l’album di Polo G, The Goat, un progetto molto ambizioso che ha sorpreso un po’ chiunque per qualità del prodotto nel suo complesso e per profondità degli argomenti trattati, tra i quali proprio quello della discriminazione razziale subita dai neri. La tematica, in linea con l’ambiziosità del progetto, è stata trattata da Polo in maniera eccelsa sulla base di Changes di 2Pac, una delle canzoni simbolo delle proteste negli anni ’90, che per ovvi parallelismi ha permesso a Wishing For a Hero di imporsi come voce delle rivolte a Minneapolis prima e in tutti gli States poi.
Lo ribadiamo: il 2020 ha visto l’uscita di un numero incredibilmente alto di album di buona qualità, fenomeno che ha affossato alcuni progetti che probabilmente avrebbero meritato più attenzioni, come gli album di Childish Gambino, il joint album tra Young Thug e Chris Brown, Tory Lanez, Westside Gunn, Freddie Gibbs, G Herbo, Lil Durk e Gunna, che ha fatto un notevole passo avanti rispetto al precedente Drip or Drown 2.
Come detto in apertura, quest’anno doveva essere anche l’anno del ritorno dei big fermi ormai già da qualche tempo, ma in molti devono ancora palesarsi. Non ci si aspettava invece il ritorno dei Run The Jewels, che con il quarto capitolo della saga hanno portato un sound decisamente diverso da quello della maggior parte dei progetti fin qui trattati. È tornato, anche se solo con un EP di 6 tracce, 6lack, riconfermandosi un artista di tutto rispetto con un progetto che, nonostante non si discosti troppo dalla sua comfort-zone, non è assimilabile né a Free 6lack né a East Atlanta Love Letter.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito anche al del ritorno di un Future ad alti livelli, che con High Off Live è finalmente riuscito a riportarsi ai livelli settati nel 2017 con il doppio album FUTURE e HNDRXX, dopo che gli ultimi lavori avevano lasciato piuttosto indifferenti i fan.
Proprio con una strategia simile a quella del doppio album usata da Future nel 2017 ha deciso di ripresentarsi sulla scena Lil Uzi Vert, con il suo fantomatico Eternal Atake, che non ha sicuramente deluso le pluriennali aspettative dei fan. L’album è stato costruito su un immaginario di suoni, melodie e campioni incredibilmente spettacolare, ed è ad oggi uno dei papabili candidati ad aggiudicarsi il titolo di album of the year. Nonostante l’impatto incredibile dall’album, il mito di Eternal Atake sembra essersi parzialmente rotto quando una settimana dopo Uzi ne ha pubblicato la deluxe edition, che in realtà altro non era che un secondo album, Lil Uzi vs The World 2, un progetto sicuramente valido ma che non regge il passo con l’album principale.
Allargando il nostro orizzonte di analisi a quello che è considerato assimilabile al rap solo se inteso in senso lato, troviamo altri dischi che non possono essere trascurati: dalla Svezia, Yung Lean ha lanciato su Europa e Usa Starz, uno dei migliori album cloud rap di sempre, confermandosi un avanguardista del genere, mentre dal mondo dell’urban arriva After Hours, l’ultima fatica di The Weeknd, papabile candidato ad album dell’anno in termini assoluti.
In chiusura non potevamo non dedicare un paragrafo a Circles, il primo album postumo di Mac Miller, un vero e proprio capolavoro musicale, nato dalla mente di Mac e forgiato deliziosamente da Jon Brion una volta scomparso il rapper di Pittsbourgh. L’album, inizialmente pensato come gemello del suo predecessore Swimming, può essere tranquillamente considerato come uno dei migliori album postumi di sempre.