Discovery Album: Yeezus
Per la terza puntata di “Discovery Album” abbiamo deciso di consigliarvi Yeezus di Kanye West: un’opera rumorosa, tracotante, cupa e fortemente critica; un dito medio alle corporazioni, all’industria musicale e a chiunque creda di poter controllare Kanye, qui ai massimi del proprio narcisismo.
“Yeezy season approaching
Fuck whatever y’all been hearing”
My Beautiful Dark Twisted Fantasy, l’ultimo album solista di Kanye West, era stato studiato per essere il disco perfetto, in modo da rappresentare un metaforico Olimpo artistico; con Yeezus, il rapper di Chicago vuole rompere gli equilibri, distorcendo l’impeccabile effigie dell’ultima fatica; metaforicamente parlando, Yeezy emula le azioni di Ulisse nella Divina Commedia, arrivando ad oltrepassare le Colonne D’Ercole perché spinto da un’irrefrenabile curiosità di esplorare nuovi orizzonti.
Yeezus, in effetti, è un’opera molto poco americana. Il tappeto sonoro che lo contraddistingue ha una componente elettronico-industriale di matrice europea: i Daft Punk, l’inglese Evian Christ e il DJ lionese Gesaffelstein sono solo alcuni dei nomi hanno contribuito alla sua realizzazione. Mentre gli ultimi due hanno messo le mani rispettivamente sull’intensa I’m In It e la club-hit mancata Send It Up, il duo parigino ha avuto ben più spazio.
Le produzioni dei creatori di Harder, Better, Faster, Stronger hanno un ruolo fondamentale, in quanto devono non solo introdurre l’ascoltatore nel caotico mondo di Yeezus, ma pure delineare una cornice che renda al meglio lo status emotivo di Kanye. Dal frastornante beat di On Sight, fino a quello dispotico – e a tratti inquietante – di I Am A God, il disco ostenta in tutto e per tutto la sua indole oscura e furiosa.
Proprio in quest’ultimo brano Kanye pecca di superbia come mai prima d’ora (I Just talk to Jesus/He said “What up, Yeezus?”), complice la consapevolezza dell’artista di essere ormai un punto di riferimento per la cultura mondiale (The only rapper compared to Michael). Dopo essersi elevato a divinità, tuttavia, West rivela di essere un “uomo di Dio”, ammettendo la sua umanità e di fatto contraddicendosi.
I am a God
Hurry up with my damn massage
Hurry up with my damn ménage
Get the Porsche out the damn garage
I am a God
Even though I’m a man of God
My whole life in the hands of God
So y’all better quit playing with God
La verità è che Yeezy sta solo recitando una parte; d’altronde, l’uomo che ha scritto Jesus Walks, e che si è da sempre professato un fedele seguace di Cristo, non avrebbe mai potuto trasformarsi di punto in bianco in uno schizzato edonista. Kanye, perciò, più che un dio interpreta un messia, teatralmente nascosto dietro a una maschera di Margiela, circondato da ninfe e illuminato da un fascio artificialmente divino. Egli predica direttamente ai suoi fedeli presso lo “Yeezus Tour”, donando loro la musica di cui sono veramente bisognosi (He’ll give us what we need/It may not be what we want). Ma il vero senso di questa messa in scena quale sarebbe?
La risposta si cela all’interno di New Slaves, anticipata da un apposito video proiettato su diversi edifici sparsi per il globo e considerabile come la spannung del disco. Yeezus, dall’alto della sua autorità, lancia un’invettiva contro l’intera società, in tutti i suoi volti, dalle corporazioni alle industrie.
My momma was raised in the era when
Clean water was only served to the fairer skin
[…]
You see it’s broke nigga racism
That’s that “Don’t touch anything in the store”
And this rich nigga racism
That’s that “Come in, please buy more”[…]
I know that we the new slaves
I see the blood on the leaves
Kanye argomenta la sua tesi aiutandosi con un parallelismo tra la schiavitù nera (provocatamente riportata in vita dalla bandiera confederata presente nel merchandise dell’album) e quella “moderna”, costituita da una generazione prigioniera delle istituzioni consumiste. Un occhio di riguardo va poi all’espressione “Blood On The Leaves”, proveniente da Strange Fruit di Billie Holiday, quest’ultima successivamente campionata nella settimana traccia di Yeezus (per l’appunto, Blood On The Leaves): la società è un albero ai quali rami sono appese le sue numerose vittime, e le cui foglie sono impregnate del sangue di questi schiavi.
La sprezzante filippica prosegue arditamente proprio in Blood On The Leaves. Avvalendoci di un altro parallelismo, possiamo constatare la somiglianza tra il quadro dipinto da Kanye e quello illustrato da Todd Philips nel suo Joker. In entrambi i casi, la società è un organismo malato che opprime e manipola le persone, rendendole false, egoiste e, nella peggiore delle ipotesi, violente. L’esempio qui discusso da Yeezy è quello delle Gold Diggers, le donne che sfruttano il proprio fascino per sedurre uomini ricchi al fine di aver un figlio con loro e farsi perciò mantenere dagli stessi.
To all my second string bitches, tryna get a baby
Trying to get a baby, now you talkin’ crazy
[…]
She Instagram herself like #BadBitchAlert
He Instagram his watch like #MadRichAlert
Il clima dell’opera comincia a variare a partire dal suo vero e proprio spartiacque: Hold My Liquor. Inizia dunque un’indagine più approfondita sui reali sentimenti dell’autore, nascosti dietro la sfacciataggine palesata nella prima parte dell’album. Justin Vernon e Chief Keef risaltano l’ormai ben nota bipolarità di Kanye, impersonificando l’ordine e il chaos (“Everybody know I’m a mothefucking monster”). La strofa di Ye è come un flusso di coscienza post sbronza (Bitch I’m back out my coma/Wakin up on you sofa), durante il quale riemergono alcuni dei suoi traumi passati, su tutti la relazione fallimentare con Alex Phifer.
Tutta la sofferenza di Kanye, mai realmente scomparsa, viene sfogata nella suggestiva Guilt Trip, originariamente destinata al joint album Watch The Throne. L’atmosfera esoterica e spaziale accompagna splendidamente la narrazione di West, perennemente alla ricerca di una donna che lo ami per davvero. L’intenso e disperato interludio di Kid Cudi sembra non lasciare spazio ad un lieto fine.
It’s gettin’ cold
Better bring your ski clothes, peeking through the keyhole
The door locked by myself and I’m feelin’ it right now
‘Cause it’s the time when my heart got shot down
Ed è proprio sul finale che Kanye ci stupisce di nuovo: Bound 2 è come la quiete dopo la tempesta. La fonte soul utilizzata si contrappone con veemenza alla cupezza delle precedenti nove tracce, ed è ideale per affrescare la conquista del vero amore. La seconda strofa, infatti, è quasi interamente dedicata a Kim Kardashian, ora moglie dell’artista di Chi-Town.
Così sì conclude l’album probabilmente più sperimentale e ambiguo della carriera di Kanye West. Un album destinato ad essere apprezzato sempre di più nel tempo.