La Reunion degli OneMic al concerto di Ensi a Torino: il cuore della Black City è tornato a battere forte
Nell’ultimo live di Ensi a Torino, la sua città, si è manifestata la riunione di uno dei gruppi più emblematici della storia del rap italiano: gli OneMic.
Mesi fa, durante un’intervista a Blue Virus e al suo produttore Jack Sapienza (che potete leggere qui), ponemmo una domanda rimasta poi inedita: perchè la scena Torinese è così invisibile in questo momento storico? Come è stato possibile che una città che agli albori di questa musica e di questa cultura ebbe un ruolo fondamentale (sfornando talenti e pionieri come Maury B, Next One, Left Side e crescendo anche un giovane DJ Gruff) si sia eclissata dalle mappe musicali così tanto?
Jack Sapienza ci rispose che a suo parere è tipico del torinese vero il cercare di restare “underground” poichè si trova a vivere in una città che lo spinge a dare molto a causa di una eredità storica importante ma che lo porta anche inevitabilmente a confrontarsi con il fatto che Torino è completamente priva di grandi sbocchi, nessuna major vi ha sede.
L’orgoglio torinese negli ultimi anni è stato sempre meno cantato, sempre meno esposto, sempre meno messo in piazza rispetto alla cuginanza Milano-Roma dove la città da cui si suona è protagonista anche più dei rapper stessi.
Si potrebbe facilmente obbiettare che in realtà di torinesi che sono conosciuti anche a livello nazionale ce ne sono: Shade, Fred De Palma, Willie Peyote per citarne tre a caso.
Tuttavia (senza voler ovviamente dubitare che ciascuno di loro sia orgoglioso delle proprie radici), al di fuori di Willie Peyote e del suo Educazione Sabauda pochi altri hanno sempre portato in giro orgogliosamente il loro luogo di provenienza. Un po’ forse perché non faceva parte della loro musica, un po’ perché non è loro intenzione farlo. Tutte scelte assolutamente lecite ma che hanno contribuito negli anni a spegnere sempre un po’ di più i riflettori su Torino lasciando pensare ai più che l’educazione sabauda sia davvero solo gianduiotti e bagna càuda.
E poi c’è Ensi.
Ensi, all’anagrafe Jari Ivan Vella, fin dagli esordi con i OneMic e con le gare di freestyle ha sempre orgogliosamente portato in giro il nome della città dove è cresciuto manifestandosi sempre come una vera e propria bandiera della città della Mole.
Ma ogni condottiero issa la bandiera per far si che un esercito che lo segue gli risponda. E questo è successo lo scorso Venerdì 8 Dicembre all‘Hiroshima Mon Amour, storica sede di concerti nel capoluogo Piemontese, completamente sold out.
La serata si è aperta con un lunghissimo open act scandito inizialmente da Joelz aka Gioele Vella (il fratello più piccolo di Ensi, ve lo ricordate nella Uannamaica?) che nonostante la mancanza di voce dovuta all’influenza rappa una serie di strofe a cappella mostrando grandi skills. E’ stato poi il turno poi di Egreen in veste di DJ che, con la “fotta” che lo contraddistigue, ha messo su uno dopo l’altro una serie di pezzi storici americani, italiani e francesi riuscendo, grazie alla sua sconfinata cultura, nel far sentire ignorante più di mezza platea. Infine, ad aprire la strada a Ensi, ci ha pensato Vox P, che ha chiuso l’opening act con una gran performance da palco.
Arrivato il turno del rapper di Alpignano di salire sul palco, si nota da subito l’organizzazione perfetta che c’è stata dietro il concerto. L’intera scaletta è pensata come un enorme viaggio nel tempo, come se il ritorno di Ensi a suonare a Torino con quello che lui stesso definisce “il suo miglior disco” fosse come un giro di boa, un momento per riassumere tutto quello che c’è stato fino a quel momento. Ed è così che Ensi dopo aver scaldato il pubblico con un paio di pezzi di V riparte dalle origini rappando le strofe dei brani del suo primo lavoro, Vendetta. Ensi ripercorre da lì tutti i suoi album e le sue hit più famose tra cui la storica Terrone (traccia dedicata a tutti i figli di meridionali che vivono al nord) Stratocaster, Tutti Contenti e Come il Sole.
Tuttavia Ensi non dimentica ciò che lo ha reso davvero famoso agli inizi in tutta Italia, il freestyle. Il rapper si lascia quindi andare in un lungo freestyle dapprima da solo, poi in compagnia di Nerone, altro ospite della serata e insieme infuocano gli animi di tutta la sala.
E’ poi il momento della reunion dei OneMic. Da quando il gruppo ha terminato il tour, del loro secondo (e attualmente ultimo) disco assieme, nel 2012 le occasioni per vederli assieme sono sempre meno ma il trio non delude tirando fuori una sinergia e una chimica tra di loro e con il pubblico che travolge letteralmente i presenti sulle parole di canzoni come DNA, Oltre e Il Mare Se Ne Frega.
Il concerto poi torna a volgere sulla sua parte più legata all’ultimo lavoro di Ensi e mano a mano va sempre di più verso i pezzi più intimi chiudendosi con Mamma diceva, Noi e V, titletrack dell’album dedicata al figlio Vincent.
Per tutta la durata del live (due ore piene) Ensi non dimentica mai di specificare a più riprese l’importanza che ha avuto Torino e la sua gente nella sua formazione artistica e personale e, sostenuto da un fomentatissimo EGreen, ricorda come la scuola torinese sia tra le più importanti a livello di hip-hop in Italia. Il pubblico risponde con un entusiasmo magico, urla, applaude e intona cori da stadio per il suo beniamino sul palco.
E qui ci ricolleghiamo all’argomento di apertura dell’articolo, l’orgoglio.
L’orgoglio della Torino Hip-Hop c’è, lo abbiamo visto in ogni singola persona presente in quella sala sold out, lo abbiamo visto nella foga di Ensi sul palco e in uno show preparato per l’occasione nei minimi particolari, lo abbiamo visto negli ospiti e nell’evidente orgoglio che provavano nel salire con Ensi sul palco per una data così importante del suo tour. Abbiamo visto la Torino che rappa, che breakka, che fa i pezzi sui treni e che scratcha, la Black City, viva e presente.
Serve solo un po’ di orgoglio per rimettere la città sabauda per eccellenza sulla mappa delle grandi città dell’hip-hop italiano. Ensi come bandiera fa già molto e il live dell’8 Dicembre lo dimostra ma come lui stesso dice quasi in forma di “slogan dell’album”: Non basta che mi segui, serve che ci credi.