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Faccia a faccia con Blackbear

In occasione della sua data al Fabrique di Milano il 17 Ottobre, abbiamo avuto modo di scambiare qualche parola con Blackbear. Abbiamo parlato del più e del meno, dal suo ultimo singolo fino alla malattia che lo affligge da ormai tre anni – una pancreatite necrotica – e di come la stia affrontando.

 

Matthew Tyler Musto, in arte Blackbear, è una figura piuttosto ambigua all’interno del panorama musicale. Classe ’90, prima di intraprendere la strada della musica – ci racconta – era appassionato di skateboarding e fotografia, hobby che, tuttavia, non ha portato avanti; la musica è stata l’unica disciplina in cui è rimasto costante ed ha continuato a coltivare.

Dopo aver iniziato una carriera come co-scrittore per altri artisti – definita da lui stesso come “Un modo divertente per fare soldi e continuare a sviluppare la propria arte” – è passato a comporre per sé stesso, pubblicando una serie di EP e i primi album. Il motivo principale di questa scelta è stata la voglia irrefrenabile di stare su un palco, cantando le proprie canzoni assieme ai suoi fan.

L’ultima fatica di Bear è il singolo Hot Girl Bummer, definita come una canzone dai toni sarcastici, che prende di mira le falsità, le maschere che la gente indossa nel mondo che egli dipinge, ovvero la sua Los Angeles. Quello che descrive, infatti, deriva sempre da ciò che accade nella sua vita: “Voglio documentare ogni capitolo della mia vita”, spiega il rapper.

 

“This that hot girl bummer anthem
Turn it up and throw a tantrum
This that throw up in your Birkin bag
Hook up with someone random
This that social awkward suicide
That bite your lips and buy your likes
I swear she had a man
But shit hit different when it’s Thursday night”

L’esempio per eccellenza è l’album Digital Druglord, con cui è salito alla ribalta grazie anche alle hit Do Re Mi e I Miss The Old You. Il progetto è stato scritto durante il periodo passato in ospedale a causa della pancreatite necrotica, diagnosticatagli nel 2016. Sulla malattia, Bear ha espresso le difficoltà contratte il primo anno di convivenza con essa, quando sentiva il bisogno – mentale più che fisico –  di bere alcool, specie in occasioni come live shows e party con gli amici.

“Ho avuto un attacco a Febbraio di quest’anno, nonostante non bevessi da molto tempo devo stare sempre attento anche all’alimentazione, specie ai cibi grassi”.

Bear è un autore che si muove scaltramente in ogni ambito musicale, dalle produzioni alla scrittura fino al canto. Questa particolarità ha fatto sì che collaborasse con molti artisti praticanti generi diversi. Alcuni di quelli menzionatici sono stati anche le sue collaborazioni preferite, su tutti Billie Eilish (Ocean Eyes Remix) e i Linkin Park (Sorry For Now, come producer, e About You, unicamente con Mike Shinoda). Questi ultimi in particolare sono considerati da Bear come un’autentica famiglia, oltre che un grandissima fonte di ispirazione fin da quando era un ragazzino.

“A loro non interessava semplicemente lavorare con me e trarre quel che potevano. Volevano sapere chi fossi davvero. Abbiamo avuto una serie di riunioni, ben prima di andare in studio, nelle quali discutevamo sul cosa volessimo fare. Ho imparato veramente tanto da loro, soprattutto dal loro modo di lavorare.”

Una grande quantità di featuring è contenuta nell’album cybersex, il successore di Digital Druglord. I due progetti sono strettamente collegati, in quanto il primo è la diretta conseguenza del secondo: Bear ha ammesso che cybersex rappresenta l’euforia e la gioia del successo strepitoso – e forse inaspettato – della precedente fatica. Il fine del disco è unicamente quello di fare un gran casino, è un invito ad una festa pazzesca, piena di gente e con ospiti speciali, tra cui Gucci Mane, 2 Chainz e Machine Gun Kelly.

Blackbear ci ha poi sorpresi rivelando la sue radici italiane: nonostante questo, la musica nostrana gli è ancora un po’ sconosciuta, ma ha promesso di documentarsi, in quanto sempre alla ricerca di nuove ispirazioni.

Per concludere, gli abbiamo chiesto quali fossero i suoi album preferiti di sempre: la scelta è stata difficile, ma abbiamo ottenuto i nomi di Malibu di Anderson. Paak tra i più recenti, datato 2016, e il leggendario Ok Computer dei Radiohead, del 1997.

 

 

Per saperne di più su Blackbear, abbiamo scritto un articolo sulla sua carriera.

Blackbear: storia di un perfetto (s)conosciuto


Matteo Carena

Ho 20 anni e sono un perfezionista maniacale. Se non siete d'accordo su qualcosa, troviamoci al pub e discutiamone tra un boccale di birra e l'altro.

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