Lo Swag Rap sta morendo? Confronto tra Italia e Usa
Risalgono ormai ad un mesetto fa le parole di Offset secondo cui lo Swag Rap stia morendo in favore del ritorno di liriche più pensate e ponderate. Quanto c’è di vero in queste parole? E soprattutto, questa tendenza è riscontrabile anche nella scena italiana? Sono queste le domande a cui cercheremo di rispondere in questo approfondimento.
A fine febbraio Offset, membro dei Migos, ha rilasciato un’intervista a Genius dichiarando che a suo parere l’epoca dello swag rap stesse scemando favorendo il ritorno di un rap più pieno dal punto dei vista dei contenuti. Si tratta di una dichiarazione abbastanza forte, a maggior ragione perché uscita dalla bocca di un membro dei Migos, che dello swag hanno fatto il loro punto di forza nella loro discografia. In particolare colpisce la lucidità e la semplicità con cui Offset esprime un concetto che ci sentiamo di condividere pienamente, citando le sue parole “per quanto riguarda le persone che ci ascoltano, credo siano stanchi di ascoltare testi su ciò che non hanno”.
Così, sempre a fine Febbraio, esce Father Of 4, l’album che rappresenta non solo l’esordio solista di Offset, ma anche l’incarnazione musicale delle parole rilasciate a Genius. A proposito di quest’album, lo stesso artista lo definisce un album diverso e più maturo, proprio perché il rapper stesso ad essere cresciuto e si è trovato ad affrontare situazioni della “vita reale”. I contenuti dell’album spaziano quindi dalla paternità, alla difficoltà di mantenere la stabilità di una relazione sentimentale, fino al lottare e superare le tossicodipendenze.
A dire il vero questa tendenza era stata anticipata a fine 2018 da 21 Savage
con il suo i am >i was, disco che, per essere uscito dalla mente dello stesso
autore di Bank Account (per citarne una su tutte), ha comunque molti spunti
introspettivi da non lasciare inosservati. Pezzi come all my friends, letter 2
my momma e 4L su tutti sono un esempio chiaro di come anche il più
incallito swag rapper si stia rendendo conto dell’importanza del piano contenutistico
in un album.
Forse è opportuno correggersi: tutti se ne stanno rendendo conto, tranne il più incallito
degli swag rapper.
Lil Pump infatti, pubblica nello stesso giorno di uscita di Father Of 4,
Harverd Dropout, un album diametralmente opposto a quello di Offset: il manifesto
dello swag rap, 16 tracce di pura autocelebrazione ed esaltazione del lusso e dell’eccesso.
Incredibilmente però, a livello di ascolti e di vendite, Harverd Dropout non riscuote il
successo che ci si aspettava, e questo forse è il primo segnale che l’inversione di
tendenza prevista da Offset si stia effettivamente avverando.
Forse per davvero, negli USA lo swag rap si sta avviando verso il viale del tramonto.
Non esiste una spiegazione certa per questa tendenza, possiamo solo teorizzare qualche punto
che possa aver portato in primis gli artisti, ma anche gli ascoltatori stessi a domandare
qualcosa di più dalla musica che producono o ascoltano, qualcosa che consenta un legame che
vada oltre la superficialità del cash, della lean, e delle bitc-ci siamo capiti, dai.
E in Italia invece?
In Italia la situazione è un po’ più complessa, e lo swag rap sembra ancora farla da padrone nonostante alcuna eccezione, seppur in misura molto minore rispetto alla scena d’oltreoceano. Un esempio di quanto appena detto è Re Mida, album di Lazza che sì, presenta qualche pezzo più denso dal punto di vista contenutistico come Re Mida, 24H e Catrame, ma il tutto è sempre racchiuso in una cornice molto swag, con punchlines, nomi di brand e tutto ciò che contraddistingue il filone swag made in USA. Si tratta di un compromesso che va a conciliare le esigenze espressive dell’artista con quelle di mercato, anche se spesso e volentieri si finisce sempre per favorire le seconde, come in questo caso.
Parlando lucidamente, si ha come l’impressione che almeno per quanto riguarda la nostra penisola lo Swag Rap sarà presente ancora per lungo. Molte sono le dinamiche che sembrano confermare questo: in primis il progressivo abbassamento dell’età media dell’ascoltatore, che difficilmente presterà ascolto ad un pezzo sulla paternità o sulle difficoltà della vita quotidiana quando può prestarsi a qualcosa di meno serio ma sicuramente più accattivante. Da non sottovalutare è anche l’impatto che la scena USA ha su quella italiana, con la diretta conseguenza che gli artisti (o aspiranti tali) nostrani tendono ad emulare la corrente swag degli USA, diventando qualcosa di automaticamente già vecchio e rivisto, ma che per il momento sembra funzionare almeno dentro i nostri confini.
Eccezioni? Sì, ne abbiamo.
Nayt e Quentin40 sono forse due degli artisti che nei loro recentissimi prodotti sono riusciti a mantenere un sound market-friendly introducendo però anche una buona parte di introspettività nei loro testi.
Qual è quindi la prospettiva che attende il movimento Rap italiano alla luce delle novità che
si stanno intravedendo nella scena statunitense? È difficile stabilire se il filone italiano
seguirà quella che sembra la strada scelta da quello USA: troppe sono le differenze tra le
due sfere, a tal punto che sembra più consono evidenziare la discordanza tra i due movimenti
piuttosto che la somiglianza.
Oltreoceano abbiamo un movimento che lentamente sta tornando ai contenuti ed alle liriche
complesse, spinto anche dal pubblico che attraverso ciò che ascolta fa capire cosa funziona
e cosa meno. In “casa nostra” abbiamo invece poca chiarezza e poca omogeneità:
chi tende a restare fedele allo swag rap per logiche di mercato e chi invece segue le
proprie esigenze espressive e comunicative; il pubblico, nel frattempo, ancora non si è
completamente schierato lasciando un grosso punto interrogativo a questo quesito che solo il
tempo potrà soddisfare.