Gemelli: svolta o passo indietro?
Il doppio. Una figura mitica del tutto identica ad un’altra persona che, spesso, ne incarna il lato oscuro. Un tema ampiamente esplorato nella letteratura – come nel cinema – lungo l’intera storia dell’umanità. Pensiamo all’Anfitrione di Plauto, una delle più classiche commedie degli equivoci, o alla triste vicenda del narcisista Dorian Grey, per non parlare del confuso rapporto tra il protagonista senza nome e Tyler Durden in Fight Club.
Pure il mondo della musica ha visto le varie sfaccettature di questo topic. Basti pensare ai numerosi alter ego di David Bowie, da Ziggy Stardust al Duca Bianco, o, per giungere in ambito hip-hop, all’arcinoto dualismo Eminem-Slim Shady. Effettivamente, la scelta di un artista di ricorrere a un doppio – se non a degli alter ego – è un buon escamotage per rappresentare un frammento celato della propria personalità.
Anche nel rap italiano ci sono stati degli episodi in cui la questione del doppio ha avuto un ruolo centrale. Mr. Simpatia di Fabri Fibra è forse l’esempio più familiare per quanto riguarda i long play, mentre a livello di singole tracce si possono citare le varie Borderline di Salmo e Phil De Payne e Bipolar Mind di Nitro.
Arriviamo quindi a Gemelli, l’ultima creatura di Ernia. Affrontare
un tema ormai prosciugato come quello del doppio è un esame non facile da superare. Si
rischia, infatti, di cadere nella banalità, magari limitandosi a dividere un disco dall’alto
potenziale in due anime scarne e povere, come già fatto da numerosi cantanti.
Approcciare un album del genere non è sempre una passeggiata, perché le opinioni sono spesso
contrastanti. Così, anche noi della redazione abbiamo deciso di sfruttare l’idea di Gemelli:
due nostri redattori, i quali hanno rispettivamente promosso e bocciato – nel
complesso – l’album, dibatteranno sui punti clou del disco, argomentando le loro
opinione.
IL CONCEPT
Martino: l’artista milanese ha declinato il concept iniziale della dualità in più aspetti del progetto, dai testi alle sonorità passando per la tracklist, e in un mercato come quello odierno nella quale escono ormai quasi solo dischi studiati per essere playlist di brani eterogenei non si può che apprezzarlo. Nonostante il disco appaia come se fosse stato scritto da due persone diverse, è comunque possibile trovare un fil rouge in grado di connettere tutti i diversi passaggi, anche se ciò avviene in modo più velato rispetto a 68.
Per questo motivo reputo il disco riuscito sia a livello di sviluppo del concept che a livello sonoro. Nonostante sia comprensibile che qualche fan di veccia data abbia storto il naso a causa di questa momentanea virata musicale, credo che quella di Ernia sia stata la mossa giusta. Un altro progetto caratterizzato da un ampio ventaglio di mood sarebbe risultato come una fotocopia del suo album precedente e se i fan del rap più puro non hanno apprezzato a pieno Gemelli pazienza, sono certo che Ernia saprà stupirli nuovamente in futuro.
Matteo: il concept delle “tracce gemelle” poteva essere sfruttato
decisamente meglio. Ciò che si ottiene, alla fine della fiera, è l’ennesimo prodotto metà
acceso e metà spento, senza particolari sfumature o curiose sperimentazioni. Rispetto ai
lavori precedenti, c’è stato un considerevole aumento di brani d’amore, non sempre ben
costruiti: se Superclassico è una hit azzeccatissima, Pensavo Di Ucciderti
e Ferma A Guardare non lasciano praticamente nulla, risultando assai dimenticabili.
La tracklist, inoltre, poteva essere disposta meglio. L’alternanza compulsiva di tracce
melodicamente agli antipodi, specie nel comparto centrale dell’opera, è fastidiosa e
inopportuna.
PRODUZIONI
Martino: per quanto riguarda la parte alle macchine credo non ci sia nulla da contestare, può non piacere il mood generale ma la qualità portata da Zef e Marz è sotto gli occhi di tutti. I due sembrano ormai in simbiosi con Ernia e ciò appare evidente in ogni pezzo prodotto da loro. Ernia ha spiegato più volte come il suo processo di scrittura parta dal beat, a dimostrazione del fatto che i due abbiano imparato a conoscere a fondo l’artista tanto da comprendere in anticipo i suoi intenti e consentirgli di tirare fuori il meglio di sé.
Degno di nota anche il lavoro svolto da D-Ross e Startuffo – produttori storici di Luchè – nei pezzi Ferma a guardare e Pensavo di Ucciderti. Menzione d’onore infine per le chitarre di Sick Luke in Morto Dentro e chiaramente per il vaso di pandora aperto da Don Joe con Puro Sinaloa, ma di questo particolare punto parleremo in seguito.
Matteo: il tappeto sonoro, curato prettamente da Marz e Zef, è più che discreto, per quanto, in realtà, regali pochi momenti veramente degni di nota. Tra questi, vanno menzionati i beat di Morto Dentro, disegnato da Sick Luke, e Cigni, quest’ultimo impostato sulla nostalgiche sonorità anni ’80 che stanno sommergendo il mercato musicale. Buone anche le strumentali di Vivo e MeryXSempre, entrambe col pianoforte grande protagonista.
OSPITI
Martino: ad accompagnare Ernia in Gemelli troviamo un ventaglio di artisti divisi fra amici storici del rapper, colonne del genere in Italia e giovani emersi da poco nella scena. Sospendendo a dopo l’analisi di Puro Sinaloa e i relativi featuring, l’artista che fra gli ospiti del progetto ha spiccato di più è sicuramente Madame. La giovane vicentina è riuscita ad amalgamarsi perfettamente con il brano sia nel mood che nella scrittura e la teatralità con cui recita le strofe non può che colpire al cuore l’ascoltatore.
Nonostante ultimamente sia fin troppo bersagliato da critiche, anche Shiva
in MeryXSempre merita di essere menzionato fra le perfomance migliori. Il ragazzo è
entrato in punta di piedi evitando azzardi e probabilmente era la cosa giusta da fare in un
pezzo del genere che, più che di un ritornello, aveva bisogno semplicemente di essere
alleggerito musicalmente. Giungendo infine ai pesi massimi troviamo un Fabri
Fibra in grande spolvero, è semplicemente l’ospite perfetto per una traccia
come Non Me Ne Frega Un Cazzo.
Luchè rimane invece nei propri standard, né sottotono né in stato di
grazia. Il suo contributo rimane comunque apprezzabile ma non spicca.
Matteo: si può dire che i featuring abbiano adempito molto bene al compito a
loro assegnato. Fabri Fibra fa la sua porca figura in Non Me Ne Frega Un Cazzo
(traccia dalle sonorità spaventosamente simili a Vossi Bop di
Stormzy, ma comunque ben riuscita), mentre Madame è superlativa in Fuoriluogo.
Spezzo una lancia a favore di Shiva, che confeziona un ritornello convincente e
perfettamente coerente con l’umore della traccia.
L’unica nota mezza stonata è Luchè che, come già capitato diverse volte dopo l’uscita di
Potere, propone una strofa piuttosto incolore, in un pezzo già di per sé
sufficientemente anonimo.
Come già detto poco fa, dei tre cavalieri di Puro Sinaloa parleremo tra poco.
PURO SINALOA
Martino: personalmente l’idea mi è piaciuta molto e, a giudicare dalle
recenti dichiarazioni su Instagram, anche Marracash ne è rimasto
piacevolmente sorpreso.
Non mi fa impazzire chi critica gli artisti che ne citano altri con l’argomentazione di aver
offeso la memoria dei predecessori. Il rap è fondato sulle citazioni, sia nei versi che nei
campionamenti dei beat, e inoltrarsi in un ragionamento nella quale si stabilisce cosa si
può e cosa non si può citare mi sembra quantomeno pericoloso. E’ anche vero però che per
questioni anagrafiche non ho vissuto l’età d’oro dei Club Dogo e reputo
quindi importante tenere conto della visione in merito di chi c’era e non ha apprezzato
particolarmente questo omaggio.
Per quanto riguarda le singole perfomance i quattro rapper milanesi si sono divertiti nel
portare il proprio stile in un beat dal sapore sacro e, anche se c’è chi ne critica
l’eccesso di citazioni, il risultato nel complesso è comunque apprezzabile. Fra le quattro
spiccano le strofe di Rkomi e Lazza.
Matteo: l’idea di omaggiare un inno del genere hip-hop non è nuova.
Pensiamo, per restare in orbita 2020, all’ottima Wishing For A Hero di Polo
G, una vera e propria riedizione della storica Changes di
2Pac. Perciò, il tentativo di riprendere in mano un mostro sacro come Puro
Bogotà, da parte, peraltro, di quattro ragazzi cresciuti a pane e Club Dogo, non
sembrava qualcosa di completamente fuori di testa. Rischioso, certo, ma assolutamente
intrigante.
Ora, il risultato finale si potrebbe definire ambiguo.
Da una parte, la traccia funziona. Suona bene nell’insieme, ritornello escluso (un
problema che contamina altri brani di Gemelli), e il beat di Don
Joe spacca ancora dopo tredici anni.
Dall’altro lato, qualcosa fa storcere il naso. Innanzitutto, il pezzo appare fin
troppo citazionista. Questo continuo marcare l’appartenenza al credo dei Dogo va a sfavore
degli artisti stessi, specialmente Ernia e Lazza. Le loro strofe, indubbiamente le più in
sintonia con l’atmosfera torva e rude dettata dalla strumentale, mancano di quella
personalità che invece contraddistingue le performance di Tedua e Rkomi, le
quali rinunciano a seguire paro paro le orme del suono originale, risultando più stranianti
ma anche più coraggiose.
CONSIDERAZIONI FINALI
Martino: venendo alle impressioni generali reputo Gemelli un
progetto riuscito nel proprio intento iniziale. Nonostante forse pecchi un po’ del “fattore
wow” è un disco che sono sicuro verrà apprezzato sempre di più con il passare del tempo. I
brani più riusciti del progetto sono Vivo, Superclassico e Cigni.
Vivo è la traccia iniziale e può essere considerata la finestra dal quale
intravedere il disco dall’esterno. In questo pezzo è possibile scorgere per intero
cosa ci aspetterà durante l’ascolto di Gemelli, dal ritornello mezzo cantato alle
tematiche rappate.
Superclassico invece ha le potenzialità per diventare la hit di Ernia per
eccellenza e rapisce l’ascoltatore già dal primo ascolto.
Cigni infine è la Noia di questo disco, la traccia più intima dell’intero
album e che probabilmente verrà capita e apprezzata meno dal pubblico. Nuotando in un beat
che richiama magistralmente le atmosfere dipinte oltreoceano da The Weekend,
Ernia ci accompagna in un viaggio interiore fra i suoi pensieri più oscuri, danzando fra
l’apatia e la sofferenza catartica.
Il brano meno riuscito del disco è forse Bugie, nonostante sia di per sé un pezzo
ben fatto risulta un po’ fuori contesto rispetto al resto del progetto e non convince come
outro.
Matteo: per quanto sommariamente il disco faccia sorgere diversi dubbi, c’è un blocco di tracce dalla qualità pressoché incontestabile. La già riportate Vivo e MeryXSempre sono rispettivamente una fortissima opening, incentrata sul classico topos della rivalsa, e un malinconico storytelling emotivamente carichissimo. Vanno spese due parole anche a proposito di U2, traccia tanto cazzara quanto esplosiva e godibile.
Questo Gemelli avrà, con tutta probabilità, un ottimo riscontro commerciale, dovuto soprattutto alla presenza di sonorità più appetibili al grande pubblico. Tuttavia, rispetto ai precedenti lavori, rappresenta un mezzo passo indietro, in particolare per quanto concerne la struttura.