Mondo Marcio è arrivato al capolinea della sua carriera
L’8 marzo è uscito presso tutti i negozi UOMO!, l’ottavo disco di
Mondo Marcio. Al termine di un digiuno musicale di tre anni e anticipato
dai quattro singoli DDR, Vida Loca, Leggenda Urbana e Angeli
e Demoni, il progetto è stato pubblicizzato dallo stesso artista come l’ultimo
della propria carriera.
Marcio è riuscito a riabilitare il proprio nome con questo presunto addio al rap?
È quasi pleonastico dirlo: quando un artista di lunga data pubblica un nuovo disco, l’opinione
pubblica di spacca in due. Si erge il fronte di chi esulta per un nuovo
capitolo di una storia discografica che si teme possa finire da un momento all’altro e
chi invece pensa che a un certo punto della propria carriera bisognerebbe optare per
il ritiro, come nello sport. Il rischio, per gli artisti, è di dare alla luce
un prodotto fiacco e poco ispirato, spinto più dalla necessità di non
essere dimenticati che dall’effettiva forza della propria musica. Altri invece
riescono a dare una scossa, ad attingere in modo quasi mistico dalle proprie riserve e
scrivere nuove pagine cult.
Quando è giusto mollare il colpo? Fin quando bisogna spingersi avanti nello spremere obbligatoriamente la propria creatività? Parafrasando una nota citazione cinematografica si potrebbe dire: o muori da gamechanger o vivi abbastanza a lungo da diventare un banale interprete.
UOMO! non è un brutto album, è semplicemente insipido. E questo è forse peggio. Ascoltandolo si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un artista stanco, consumato dal tempo e dall’eterno confronto con il passato, con l’aver dato il meglio di sè a inizio carriera senza riuscire più a ricreare la stessa magia. È un problema che ha sempre accompagnato l’artista milanese, mai del tutto capace di rinnovarsi e finendo album dopo album ai margini di una scena musicale di cui per un certo periodo è stato assoluto protagonista. UOMO! semplicemente si inserisce senza troppi complimenti in questo trend, risultando come un altro tassello che nulla aggiunge a una storia musicale i cui alti non giustificano gli eccessivi e inesorabili tonfi.
I pochi episodi convincenti dell’album finiscono in secondo piano subordinati a un ossatura che non regge il peso del nome scritto in copertina. Il problema di fondo, infatti, è che ci si trova di fronte a un disco tremendamente normale, non all’altezza di un ex peso massimo del rap: se è vero che è impossibile scrivere un classico giunti all’ottava fatica, non per questo bisogna limitarsi a crogiolarsi nei successi del tempo che fu. Le varie tematiche del disco vengono affiancate da un insistente ribadimento dei successi passati – dall’aver portato il genere nel mainstream all’ergersi a padre della scena – con asserzioni che spesso e volentieri fanno sorridere più che impressionare.
Nessuno vieta a Marcello di ricordare di essere stato uno dei primi a TRL, ma di fatto questa continua tensione al glorioso passato si traduce automaticamente in uno scarso interesse al presente: aver scritto pagine importanti agli inizi degli anni 2000 non giustifica dal presentare ai fan un disco che più che a chiudere un percorso serve a rimarcare ancora e ancora gli inizi del suddetto. Lo status di leggenda urbana, una volta conquistato, va mantenuto con lavori all’altezza di sè stessi.
Le liriche, condite da immancabili frecciatine all’omologazione degli artisti nel presente e ad ex colleghi, offrono pochi spunti analitici non essendo niente a cui l’autore non abbia già abbondantemente abituato in chiave pressapoco identica. Paradossalmente l’unica cosa che salta all’orecchio è l’inesorabile debolezza che da esse traspare: più che graffiare, i testi di questo lavoro sfiorano l’ascoltatore senza particolari sussulti arrivando talvolta a confluire in brani senza capo nè coda.
Discorso analogo per le produzioni, spesso e volentieri anonime e prive di impatto. I brani, prodotti da Marcio stesso, Fast Life Beats, Muzicheart e Swerve non spiccano decisamente per efficacia e raramente, se non mai, si è tentati dal riavvolgere la traccia affascinati da un tappeto sonoro che semplicemente serve ad accompagnare verso l’uscita.
Se Marcello è sopravvissuto alla bufera, ne è uscito più esausto di quanto vuole far credere. I suoi due ultimi album sono stati pubblicati a inizio 2016 e 2019: idealmente potrebbero essere collocati all’inizio e alla fine (presunta) del “fenomeno trap” in Italia: in questi tre anni molti nuovi artisti sono saliti alla ribalta e il gusto del pubblico si è inevitabilmente modificato, spingendo molte vecchie glorie a confrontarsi con i mutamenti, l’implacabile incedere del tempo e soprattutto con le proprie capacità. Molti di essi sono riusciti a entrare comunque nel nuovo tessuto musicale e nel cuore del neo pubblico facendosi affiancare dalle nuove leve, collaborando senza snaturarsi: non si tratta di vecchio contro nuovo, si tratta di adattamento.
Non è una base prodotta da Swerve degli 808 Mafia a tenerti al passo, quello che conta è la volontà di comprendere come poter continuare a giovare al genere musicale che ti ha salvato la vita: Mondo Marcio, ancora avvolto nelle nebbie di Solo un uomo, questo non è riuscito a farlo.