Ernia è il rapper di cui il mainstream italiano ha bisogno (ma che non si merita)
Come uccidere un usignolo/67 è il doppio-EP con cui Ernia ha debuttato sugli scaffali dei negozi. Come se l’è cavata il Bel Mattè?
Benché la divisione in due del progetto possa indurre a credere che gli EP abbiano diverse ragioni d’essere, Come Uccidere Un Usignolo/67 è un lavoro che garantisce omogeneità.
I due lavori si sono dimostrati complementari e sovrapponibili e Ernia si è confermato come uno tra i rapper più bilanciati sulla scena.
Anche se abbiamo ancora poco materiale del periodo post-Troupe D’Elite a disposizione, appare evidente come la sua poliedricità argomentativa si manifesti in ogni progetto finora conseguito: in No Hooks aveva parlato del suo passato con la Troupe in Santa Maria, Lewandowski è un ego trip d’annata, Instagram si pone come critica (e autocritica) sociale mentre Neve è una mano passata sulla coscienza che va a toccare infanzia, adolescenza e maturità.
Bastava un progettino di quattro tracce, un antipasto di quanto Ernia può fare, eppure già avevamo scorto in lui la grande dote di saper dire tutto quello che va detto nello spazio di un album, senza lasciare vaghi segni di incompletezza che capitano anche nei dischi di maggior fattura.
La dimostrazione definitiva l’ha data la coppia di EP usciti recentemente con distribuzione Universal: CUUU e 67 sono due progetti a loro volta bilanciati che, buttati nello stesso calderone pur avendo matrici di produzione diverse, si amalgano perfettamente per via della loro completezza.
Come bisogna leggere la scelta di accorpare assieme i due progetti?
Confrontare i due progetti evidenzia un passo avanti compiuto dal liricista milanese, che in 67 spinge ancora più in alto l’asticella, mostrando skills inedite e arricchendole con le collaborazioni di alto livello presenti.
In CUUU, Ernia giocava in casa, all’interno di un progetto con pretese mediatiche inferiori all’erede, sulle produzioni di Marz, Noise e Tradez che lo avevano accompagnato in tutto il periodo compreso tra No Hooks e il sopracitato.
67 è una sorta di iniziazione al mercato vero e proprio, con la benedizione di tre figure di grande rilievo nel rap game: Guè Pequeno, Mecna e Shablo (primo beat per Ernia da quando lo ha preso con sé in Thaurus). Vien da sé che le precitate skills mostrate nell’EP precedente dovessero fare un ulteriore passo avanti e Ernia non è stato da meno.
Ritornello rappato in francese in Pas Ta Fete, la dimostrazione di forza in Disgusting nel duello lirico col Guercio, uno skit come non se ne vedevano da tempo, stilettate d’arroganza mai fini a sé stesse, sempre indirizzate verso la sua volontà artistica di poter alternare pezzi di concetto, esercizi di stile ed egotrip senza sentirsi in dovere di fare un solo certo tipo di rap.
Concetto spiegato meravigliosamente nella canzone in coppia con Guè, dove apostrofa senza mezzi termini chi pretende i contenuti seri nella musica e poi razzola male in altri campi.
In attesa di conoscere “cosa ha scritto in 68” (il suo primo album ufficiale, già annunciato dentro CUUU), è possibile tracciare un profilo dei suoi progetti che hanno visto la luce fino ad oggi. Il responso ci porta a descriverlo come un unicum nella scena rap italiana, e il suo caso è ancora più particolare di quello che ha avuto come protagonista Ghali.
Mentre quest’ultimo è sempre stato vittima (o carnefice) della sua immagine un po’ tamarra (che lo ha accompagnato anche durante la propria ripresa, da Tupac e Biggie a Dende), il Bel Mattè è effettivamente sparito dalla scena per mesi e mesi dai flop con la TDE, scrollandosi di dosso i pregiudizi maturati nel corso di quella breve ma deleteria esperienza e ripartendo senza riflettori puntati addosso.
La strategia si è rivelata vincente, ma saremmo allocchi a credere che basti una pausa forzata per diventare abili quanto lui oggi, e saremmo solo ipocriti nel considerare questo Ernia una naturale prosecuzione dell’Er Nyah che fu.
L’artista che oggi apprezziamo, di cui il panorama rap italiano ha grande bisogno per la naturale dote di coniugare eleganza nello scrivere alla rotondità degli argomenti proposti, è un ragazzo che si è preso in faccia pomodori e arance, finendo quasi sull’orlo del precipizio e rimanendo lì per cedere per tempo immemore.
In una delle più sbeffeggiate realtà della storia del rap italiano, la tempesta ha innaffiato due delle più piacevoli sorprese degli ultimi anni, due artisti di cui l’hip hop italiano ha bisogno ma che non merita per via del male che gli riservò in tempi non sospetti.
Se Ghali ha portato nelle radio un prodotto più edulcorato (mantenendo invariato l’impegno nella cultura hip hop grazie a Sto Magazine, complesso plasmato da lui e i suoi collaboratori), Ernia è una figura che manca al mainstream di seconda generazione. Ci chiediamo sempre chi possa essere il nostro Kendrick Lamar, ed effettivamente la capacità tipicamente lamar-iana di saltare di contenuto in contenuto, di base in base, di stile in stile, è una dote che a Ernia certo non manca (con le dovute proporzioni, chiaramente).
La speranza è che, in maniera direttamente proporzionale a quanto venne sminuito ai tempi, Ernia trovi il consenso del pubblico che merita e l’acclamazione della critica che gli è dovuta.