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Non sono morto, ero da Re Kaioh: Ghali divide la critica con il suo primo Album

Dopo due anni dall’inizio della sua rinascita, Ghali ha esordito con il suo primo Album, prodotto dal fido Charlie Charles.

La formazione della Troupe D’Elite (Da sinistra, Ghali, Maite, FonzieBeat e Ernia)

 

Once upon a time…

C’era una volta la Troupe d’Elite, un quartetto rap che, patrocinato dalla famigerata Tanta Roba di DJ Harsh e Guè Pequeno, fallì miseramente nei propri sogni di gloria dopo un intenso quarto d’ora di celebrità nel 2012. Dalla copiosa quantità di sterco crollata addosso alla Troupe, però,  abbiamo avuto la fortuna di vedere fiorire due personalità alquanto singolari nel rap game odierno. Il primo è Ernia, ai tempi Er Nyah, capace di trasformare l’anonimato in cui cascò dopo la parentesi-Troupe in una grande acclamazione delle sue doti a seguito dell’EP No Hooks. Il secondo è Ghali, da sempre il più in vista della vecchia band e probabilmente anche colui a cui vennero addossate le maggiori critiche per pezzi alquanto discutibili in tempi decisamente poco maturi. C’è un pezzo meraviglioso che descrive alquanto bene la situazione tra i due, si chiama Neve ed è contenuta nell’EP del fu Er Nyah, presto fuori col suo primo album Come uccidere un Usignolo.

Non è di questo rapporto, però, di cui ci preoccuperemo oggi, anche se è fondamentale ricordare come il riscatto, la rivalsa, la resilienza siano il sale di tutte le più belle storie di cultura, dallo sport all’arte. Ghali, come Ernia, ha avuto la sua rivincita, la famosa seconda chance, e a prescindere da ciò che possiate pensare della sua arte, credo che tutti noi pagheremmo per vivere una underdog story come la sua.

Il Mago dell’Hype

Album, il quanto mai peculiare titolo della sua prima fatica discografica da solista, ha una gestazione di due anni; anche se probabilmente lui abbia iniziato a parlare di album solo qualche mese fa (e il disco a tutti gli effetti non è quello che chiameremmo “l’opera di una vita”), come in tutte le storie di riscatto che si rispettino, non conta tanto l’obiettivo quanto la strada che si è fatta per raggiungerlo. E gli ultimi due anni di Ghali sono costellati da traguardi che la musica indipendente in Italia ha difficilmente raggiunto. I suoi collaboratori si sono resi protagonisti della più lunga campagna d’hype della storia, ogni annuncio, ogni video, ogni annuncio dell’annuncio del singolo, ogni banalissimo post “Presto Novità” è stato caricato mediaticamente; nella partita di scacchi che è il media marketing, Ghali non ne sbaglia una.

 

Wily Wily, uno dei singoli con più successo di Ghali

 

Nel 2017 puoi avere dietro chiunque, ma se non sei capace di autopromuoverti sei destinato a un inevitabile declino, ed è per questo che i tre volti più virali della nuova scena (Sfera Ebbasta, Dark Polo Gang e Ghali)  hanno ottenuto il loro exploit senza alcuna spinta discografica, mentre un ragazzo lanciatissimo verso l’oro come Maruego ha avuto una pesantissima battuta d’arresto. E se Sfera ora gode anche del supporto di etichette importanti come Def Jam e Roccia Music, è inevitabile asserire che Ghali sia la casa discografica di sé stesso, metaforicamente ma non solo (STO Records è realtà, e attendiamo in tal senso un lavoro per il buon Capo Plaza).

 

Finalmente Album

La semplicità con cui le note di Album scorrono è direttamente proporzionale alla difficoltà che molti hanno avuto nel catalogare e giudicare il lavoro nella sua interezza. A seconda di come ci si pone, il responso finale può scivolare tra il godibile e il noioso, tra il maturo e l’inconcludente, lasciando l’ascoltatore di rap confuso e l’ascoltatore di pop inebriato. E’ l’esatta intersezione tra un grande disco pop e un mediocre disco di rap. L’errore che si fa è guardarlo come un prodotto squisitamente rap, non diversamente da quanto si fa ascoltando i lavori ultimi di artisti rispettabilissimi come Coez Mecna, quando squisitamente rap non lo è, bensì è un prodotto ibrido, che mescola e che vuole distinguersi da ognuno degli stili a cui attinge.

Nel caso non lo aveste ancora ascoltato, toglietevi dalla testa i canoni di valutazione che usereste per definire un disco di Egreen. Vi faranno solo passare un brutto quarto d’ora di incazzatura, vanificando ogni costruttività che un disco originale come questo può lasciare.

Album doveva essere lo spaccato di quella che è stata la sua rinascita, e tacciare di troppa commercialità alcune tracce significa dare più significato al sound che alle parole; paradossale, vero? Un artista come Ghali, fautore dell’ascesa del nuovo suono trap, storicamente bersagliato dai “paladini dei contenuti”, scrive un disco che non solo è incentrato sui testi (c’è pochissima autocelebrazione, per esempio, e diverse scelte liriche veramente peculiari come in Lacrime) ma non ha nemmeno il “pezzo che pompa”, escludendo forse il singolo d’esordio Ninna Nanna. Ci sono, al contrario, pezzi molto sentiti: da Milano che riprende il ritornello della sua vecchia Come Milano, passando a Ora D’aria (canzone molto peculiare sia per modalità d’esecuzione che per la strumentale che oserei definire ai limiti del “noise”), fino a Lacrime, perla dell’Album rivolta al figlio che verrà.

E’ un Ghali molto più soft, un Ghali che amoreggia con la propria musicalità canora più che con le proprie skills sia di liricista che di interprete rap. Qui la fatidica domanda: è un disco rap?

No, non del tutto. E’ un disco che prende diversi suoni e li mescola con una forte, fortissima dose di cantato.

Charlie Charles ha assunto un ruolo determinante in tal senso, perché le strumentali sono molto meno farcite di bassi e skills ritmiche, tipiche del suo stile, ma prendono piede nella testa dell’ascoltatore grazie alla forte orecchiabilità degli strumenti utilizzati (ormai la chitarra alla spagnola è diventata un must) e delle linee melodiche tracciate dal producer.

Il modo più veloce per definire Album è una sola: “pop“. Ed è una parola che ai rappusi di ogni età spaventa e non poco.

La graphic art di Album

 

Ghali e la sua carriera, però, restano squisitamente Hip Hop: lo dimostra il lavorone che sta facendo con Sto Magazine nel dare un punto di riferimento che faccia da collante alla scena, lo dimostrano le sue origini musicali (viene dalla decadenza della Milano dei muretti di fine anni ’00) e lo dimostra la sua volontà nel rimanere padrone della sua musica facendosi indipendente.

 

Il famigerato simbolo di STO

 

Resta da vedere come evolverà la carriera del tunisino dopo questo importante mattoncino: tornerà a sonorità più crude? Passerà definitivamente al pop, magari allontanandosi dal resto della scena rap?

Ciò che conta è che dopo un paio di anni dove ha forse tirato troppo la corda per uscire con un lavoro ufficiale, oggi Ghali non è più un artista incompleto; ha saputo prendersi le responsabilità del caso, partorire un lavoro ufficiale, assumersi i rischi di un cambio di stile e giocare al tavolo dei grandi, che non vivono di hype come ha fatto lui per tanto tempo, bensì di dischi, di canzoni, di sostanza.

Album è un disco che difficilmente piacerà a chi ascolta solo rap. L’immagine di Ghali, di certo non vista di buon occhio da buona parte del pubblico, farà accentuare la repulsione verso questo lavoro. Ci sono tracce che fanno inevitabilmente storcere il naso, troppo distanti dalla musica a cui ci ha abituato, troppo vicine allo spettro della passata in radio (è il caso di Libertè, Habibi o di Oggi No).

Malgrado ciò, è un lavoro che ha il suo perché, ha una forte identità sonora, diversi picchi per quanto riguarda i testi e rappresenta un punto di rottura importante per un ragazzo da stimare per quanto è stata profonda la sua caduta e per quanto è stata faticosa la sua rinascita. E pazienza se canta, e pazienza se suona pop. E’ la Via di Carlito, ma con il lieto fine.


Michelangelo Arrigoni

Stregato dai racconti dell'Avvocato Federico Buffa, ho capito che nella vita sarei potuto sopravvivere solo con le mie parole. E con il sushi.

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