Junior Cally ci è entrato dentro troppo presto
Junior Cally è ritornato a far parlare di sé lo scorso venerdì con il suo primo disco ufficiale, Ci entro dentro. L’album, con alcuni innegabili punti di forza, lascia spazio a considerazioni sulla tempistica con cui è stato completato. L’artista è sulla scena da relativamente poco, e viene da chiedersi se non sia troppo presto.
Il disco si apre con una titletrack autoesplicativa, che rende subito chiaro l’obiettivo a cui il rapper fa riferimento: Cally si tuffa di prepotenza in una scena di cui disprezza manie di grandezza e, soprattutto, l’assoggettarsi a logiche di mercato ancor prima di definire un proprio progetto musicale. Sin dai primi singoli – che l’hanno portato alla ribalta – è chiara questa sua pretesa di venire considerato su un altro livello rispetto ai propri colleghi, e ciò ne ha anche definito l’attitudine, tanto da creare il tormentone dell’artista indipendente per eccellenza che in molti conoscono.
L’intento – sicuramente discutibile a seconda dei punti di vista rispetto all’attuale scena hip hop – è comunque nobile, se considerato come un tentativo di restituire all’industria quell’accezione di “verità” e trasparenza sempre più assente. Questo stesso intento, però, giunge rapidamente a scontrarsi con la realtà dei fatti: nell’album emerge una compattezza ben più chiara a livello strumentale che tematico.
Sul piano tematico, l’osso duro del progetto non riscontra il proprio obiettivo, poiché ricade ben spesso in quegli stessi cliché che l’artista vorrebbe criticare, primo fra tutti una densità di qualità che sfuma allo scorrere delle tracce: il lavoro si fa infatti forza sui singoli che lo avevano anticipato, con diverse altre tracce che sembrano rivestire il tipico ruolo di filler.
Ciò fa immaginare che sia emersa la volontà di chiudere il disco frettolosamente per sfruttare, com’è giusto che sia, l’onda di popolarità di cui ha goduto Cally nell’ultimo anno, arginando il rischio di finire presto nel dimenticatoio. Il risultato, tuttavia, si ritorce contro il rapper stesso – pur non mancando dei suoi legittimi momenti positivi – perché poco gli permette di distinguersi e risaltare, come voleva, rispetto al resto della scena.
Dal punto di vista musicale invece, come già anticipato, il disco segue un corso più che positivo, con un’alternarsi ritmico e stilistico armonico nel suo insieme che pochi altri progetti possono vantare. Le strumentali, infatti, per quanto diverse tra loro, mantengono un’identità di genere fondamentale che serve a tenere insieme un album, a maggior ragione se d’esordio.
Per questo esito si è rivelata fondamentale la scelta di affidarsi a pochi produttori, affini allo stile del rapper, rendendo l’impressione di un progetto studiato fin dall’inizio musicalmente. Se è possibile fare una distinzione, appare innegabile che le singole tracce maggiormente riuscite, per quanto riguarda la compattezza tra base e voce – in tutti i suoi aspetti: scelte metriche, tematiche, di flow – siano quelle autoprodotte.
Ciò evidenzia come Junior Cally non sia l’ultimo degli scappati di casa, ma abbia le potenzialità per ottenere, nel corso del tempo, un’identità artistica propria e ben definita. L’unica pecca che emerge dalle basi è forse un’eccessiva somiglianza tra i vari synth utilizzati nel corso del progetto che, se da un lato è garante dell’identità musicale sopra descritta, dall’altro rischia di risultare monotona agli ascoltatori più facilmente distraibili oppure meno vicini a questo tipo di rap filo-musica elettronica.
Nel complesso il disco non rappresenta una delusione totale, ma è ben lontano dal soddisfare le aspettative corrispondenti alle premesse poste in gioco dallo stesso rapper. L’idea è che, forse, sarebbe stato meglio attendere ancora qualche mese, sottoponendosi al rischio di una copertura mediatica magari meno estesa, ma ottenendo un dividendo più definito e soprattutto coerente. Insomma, quando ci si entra dentro così di getto sfondando la porta è forse il caso di guardare prima dalla serratura.