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Benvenuti nella Tana di Lanz Khan, il Solito Sospetto del Rap Italiano

Ormai un pilastro dell’underground milanese, Lanz Khan ci ha ospitati nei Caveau Studios e non abbiamo perso l’occasione di fargli qualche domandina. Cosa avrà da raccontarci?

Sono passati due anni da Luigi XVI, il tuo ultimo prodotto ufficiale e hai dichiarato che hai in serbo qualcosa. Dobbiamo aspettarci un nuovo Lanz Khan o resterai fedele allo stile che ti ha reso noto agli ascoltatori?
Lanz Khan: Ho due progetti in ballo: uno dall’uscita più imminente e uno per il quale ci vorrà ancora un po’ di tempo. Uno di questi è granitico rispetto a quello che ho sempre fatto, l’altro è invece un po’ più vario. Questo non vuol dire assolutamente che mi vedrai scimmiottare le nuove tendenze o che farò un testacoda rispetto a quello che ho sempre fatto, però rispetto al solito ci sarà qualcosa di un po’ più fresco a livello di produzioni, sulle quali porterò sempre la mia attitudine, la mia scrittura, i miei temi e le mie immagini.

Il tuo ultimo video per Sto Magazine porta il titolo di Keyser Soze, noto personaggio da “I soliti sospetti”. E’ uno dei tanti riferimenti cinematografici posti nei tuoi pezzi: quali sono le opere cinematografiche che più ti hanno influenzato nella tua carriera?

L: Più che da opere specifiche sono sempre stato impressionato dalle estetiche particolari di un regista o di un filone cineamatografico. Quando ero ragazzino le “Tarantinate”, crescendo sono stato molto influenzato a livello visivo dai film dei primi anni ’70, thriller, noir o poliziotteschi (vedi Fernando di Leo, Lucio Fulci, Sergio Martino, Mario Bava, Umberto Lenzi o il primo Dario Argento con film come Milano Calibro 9, La Bestia Uccide a Sangue Freddo, Una Lucertola Con La Pelle Di Donna, Non Si Sevizia Un Paperino, Lo Strano Vizio della Signora Warth, I Corpi Presentano Tracce di Violenza Carnale, Cani Arrabbiati, Sei Donne per l’Assassino, Milano Odia: La Polizia Non Può Sparare, 4 Mosche di Velluto Grigio, Profondo Rosso ecc.) Per altri versi Lynch, Kubrick, Polanski e Jodorowski, che poi ti portano a scoprire altre cose. Mi piace moltissimo il cinema orientale (es. la Trilogia della Vendetta di Park Chan-wook, i film di John Woo del periodo pre-Hollywood, Takashi Miike ecc.) ma anche registi come Scorsese, Orson Welles, Hitchcock, Sergio Leone e tantissimi altri. Quello che mi colpisce non è tanto la violenza in sé, quanto la sua rappresentazione estetica. Rimango sempre affascinato dal potere che ha la finzione del cinema di mettere in scena atmosfere e situazioni al limite del soffocante e dell’assurdo rendendole credibili e allo stesso tempo di comunicare qualcosa di più profondo. Ovviamente guardo anche film più leggeri o senza questa componente di violenza estetizzata, penso a film come Amici Miei, Fantozzi o a capolavori come Accattone, Miracolo a Milano, I Soliti Ignoti ecc. Il cinema, in ultima analisi, costituisce per me un oceano di spunti, non solo artistici.

Oltre al cinema, anche l’arte è continua fonte di ispirazione per le tue canzoni: quali correnti e artisti nello specifico hanno un ruolo nella tua musica? Inoltre, è dall’arte che deriva il tuo approccio più descrittivo che narrativo?

L: Ho sviluppato questa passione col tempo, mentre l’interesse per il cinema è stato più immediato. A differenza di quest’ultimo, che mi ha influenzato in maniera più diretta, nell’arte mi ci sono spesso ritrovato, riconoscendo tratti specifici, procedimenti mentali/artistici e caratteristiche nella quali potevo captare qualcosa di mio così come similitudini con altri artisti e a volte con la stessa scena del rap. Ti faccio un esempio di quest’ultimo passaggio: nel 1599 Caravaggio e altri suoi amici pittori mettono in circolazione dei componimenti anonimi volti a prendere in giro un altro pittore di nome Giovanni Baglione, chiamato qui “Gioan Coglione”, il quale per tutta risposta li denunciò per diffamazione. Erano dei pazzi. I precursori del dissing! La pittura, fra i molteplici campi artistici esistenti, è sicuramente quello che più mi ha influenzato e, se devo farti dei nomi, ti direi il già citato Michelangelo Merisi da Caravaggio e i così detti “caravaggeschi”, Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, Pietro Vannucci detto il Perugino, Leonardo e i così detti “leonardeschi”, romantici come Caspar David Friedrich e William Turner, artisti come William Blake, René Magritte, Francis Bacon, ma anche incisori come Alfred Kubin o Gustave Doré e artisti orientali come Taro Okamoto, Suehiro Maruo o Utagawa Hiroshige. Amo l’arte e cerco di conoscerla il più possibile. Amo anche i dettagli e la mia scrittura ha sicuramente una componente di “horror vacui” che mi porta sempre ad aggiungere qualcosa e che probabilmente si rifà all’approccio che ho nei confronti dell’arte. Vorrei che chi mi ascolta riuscisse a “vedere” quello che scrivo, cogliendone tutte le sfumature del caso.

Nel brano L’Ombra della Sfinge tocchi una tematica affrontata da un gran numero di rapper, da Tupac a Vinnie Paz: il complottismo. Quanto pensi ci possa essere di vero in queste teorie?

L: Assolutamente niente. Sono un pacco di stronzate che servono a fare clickbait e ad aggiungere confusione. Quando sei ragazzino probabilmente sei un più sensibile e influenzabile e, per quanto mi riguarda, lo affronti più come un viaggio mentale di fantascienza. Penso che sia importante usare la propria testa ed essere sempre critici (per fare questo, però, bisogna studiare e dotarsi degli strumenti cognitivi e culturali appropriati, non cercando la verità sui video di YouTube o affidandosi a siti che rilanciano teorie al limite della follia basate sul nulla). Dico questo perché ritengo che spesso le persone vengano più suggestionate da quello che vogliono a ogni costo vedere piuttosto che da quello che realmente vedono.

C’è qualche artista con il quale non hai mai collaborato ma con cui vorresti lavorare in futuro?

L: Ti direi Lord Bean, Fame e il Guercio. Fortunatamente però sono riuscito a togliermi anche qualche soddisfazione, come le collaborazioni con Bassi e Goretex. Altri nomi che avrei inserito in questa lista invece saranno nei prossimi progetti, ma per ora preferisco non sbottonarmi.

Come ti sei avvicinato al rap? Quali artisti e quali album ti hanno maggiormente spinto a iniziare a scrivere rime e influenzato nel corso della tua carriera?

L: Mi sono avvicinato come praticante al rap intorno ai 13/14 anni, quindi nel 2003/04. Skateavo tanto e ascoltavo molto punk. Di rap conoscevo giusto quello che girava su MTV all’epoca: Eminem, 50 Cent, Flaminio Maphia, ma non mi faceva così impazzire nel complesso rispetto al resto della musica che ascoltavo. Ho iniziato con il breaking e il freestyle e quando breakkavo uno dei miei maestri fu Twice, fondatore di Natural Force. Erano gli anni di 8Mile, del 2TheBeat e dello ShowOff e io iniziai a fare freestyle, cosa che portai avanti con discreti successi nella scena di noi giovani dell’epoca, frequentando il Muretto e tutte le jam e i contest del periodo. Provai anche a dipingere, ma non era cosa mia.
Dio Lodato di Joe Cassano fu il brano che mi aprì gli occhi per davvero, poi scoprii i suoi feat con Inoki e Bean prodotti da Fritz Da Cat, da lì 950, in cui trovai tutti i migliori della vecchia guardia. Quelli erano anche gli anni dell’uscita di Mi Fist, il nuovo anno zero della lirica rap in Italia. Quando ancora oggi mi dicono che ricordo il primo Fame ovviamente è una cosa che può solo farmi piacere, anche se mi sembra ci siano delle differenze, quantomeno a livello lirico e stilistico. Però ti fa capire da che mondo provengo e che tipo di imprinting ho avuto.
Mi piacevano poi anche Bassi, Ape, Zampa, Kunetti, Stokka&Madbuddy, La Créme, Kaos, Colle der Fomento, Inkastro, Fibra, Gente Guasta, ecc. Già all’epoca poi ricordo che tra i miei coetanei c’era chi era settato solo sulla old e non apprezzava i Dogo, Marra e tutta una serie di novità d’oltreoceano ascoltando solo gruppi come Otierre, Sangue Misto o DJ Gruff. Questa cosa la sto rivedendo in parte con la trap al giorno d’oggi: in Italia arriviamo sempre in ritardo, siamo restii ad accogliere le novità e si creano delle fratture che si rinsaldano dopo anni, ma quando si crea una situazione equilibrata ormai è già arrivato qualcosa di ancora più nuovo che genera a sua volte nuove fratture. Questo accade anche perché si tende sempre a catalogare in maniera indiscriminata e in blocco tutta una serie di novità che, invece, prese singolarmente possono arricchire quello che già c’è portando a nuove soluzioni senza doverlo per questo snaturare nei suoi principi e nella sua attitudine.
Tornando alla domanda principale, se dovessi citarti degli album italiani che mi hanno influenzato nel corso della mia storia ti direi Karma di Kaos, Mi Fist e Penna Capitale dei Dogo, Destroy the Enemy dei DSA e tanti altri; se invece dovessi farti nomi di rapper americani ti direi: Jedi Mind Tricks, Sean Price, Big L e tutta la D.I.T.C., tutta la scuola Wu Tang, Smooth Da Hustler, Psycho Realm, Westside Gunn e Conway, Schoolboy Q, House of Pain, La Coka Nostra, Onyx, M.O.P., Mobb Deep, Dave East, Action Bronson e Meyhem Lauren, Gangstarr, Group Home, $ha Hef, Nas e mi fermo qua perché la lista potrebbe essere davvero infinita. Come diceva Bassi: “Vengo fuori dalla scuola classica del rap grezzo”.

Hai partecipato a entrambe le parti di Benvenuti a Milano di Bassi Maestro. Com’è lavorare con una colonna storica di questo genere?

L:Te lo spiego in tre parole: E’ una figata! Lavorare con lui, per di più a brani destinati a dei suoi progetti, è stato qualcosa di davvero importante; ero contento, emozionato e orgoglioso. Lo ascoltavo agli inizi del mio percorso e ancora oggi è un King sempre sul pezzo. Scrivere per questo tipo di collaborazioni poi non è facile perché vorresti sempre migliorare qualcosa prima di consegnare la strofa. In questi momenti sai che devi fare del tuo meglio perché sono quelle occasioni che tutti sognano quando iniziano a rappare. Quando andai registrare la prima parte di Benvenuti a Milano in studio da Bassi, reccai la mia parte in pochi minuti, quasi al volo. In quel momento speravo solo che il risultato fosse ottimale e che la strofa potesse piacergli e convincerlo. Quindi, dopo averla chiusa, chiesi a Bassi dalla cabina: “Secondo te com’è?” e lui dalla regia: “Secondo me spacca!”. Ero al settimo cielo.

C’è un pezzo, una strofa o un feat al quale sei particolarmente legato? Qual è la sua storia?

L:  Oltre i Benvenuti a Milano, sicuramente anche Occhi di Ligeia per motivi sia artistici che personali. Il Viale dei Cipressi perché è una dedica a una figura importante del mio percorso, ossia Ghost Dog, beatboxer e rapper della mia zona, figura chiave per tutti noi più giovani della zona che ci affacciavamo alla realtà dell’Hip Hop, il quale venne a mancare qualche anno fa. E’ un brano di cuore che volevo fortemente per il mio primo disco. Il cut di una sua intervista nell’intro e gli scratch di DJ Jad impreziosiscono il brano rendendolo per me ancora più sentito. Aggiungo poi Hashishin, con Axos, che penso sia il nostro pezzo meglio riuscito, forse unico nel suo genere. Uno dei rarissimi casi in cui il risultato finale corrisponde esattamente a quello che avevo in mente quando ancora il brano era solo un’idea. Ottenere questo tipo di risultato con un featuring poi è ancora più soddisfacente perché non sai mai come l’altro possa sviluppare il concept, ma l’affinità che c’è fra me ed Axos è qualcosa di davvero magico e rende possibili risultati del genere.

Cos’è cambiato dalla tua entrata in Mad Soul Legacy? E in che rapporti sei rimasto con la Bullz Record e i suoi componenti? 

L:Devo tantissimo alla Bullz che ebbe il coraggio di investire su di me, dandomi la possibilità di farmi notare presso un pubblico più grande. Tuttavia, della vecchia Bullz Record è rimasto poco. Le nuove figure presenti adesso le conosco meno e non fanno parte del team storico con cui lavoravo io. Resta comunque grande affetto nei confronti della loro realtà. Col passaggio in Mad Soul, invece, è cambiato quasi tutto perché in Bullz il rapporto di lavoro era verticale, ossia c’è chi investe e chi fa la musica. Come artista hai delle scadenze e vivi tutte le dinamiche di una label con pregi e difetti del caso. Mad Soul invece è una struttura orizzontale: siamo una crew e ci produciamo per i fatti nostri. Lavoriamo come un team, non ci sono capi e uno vale uno. Tutte le decisioni inerenti al gruppo vengono prese all’unanimità. E’ un lavoro diverso e per certi versi più produttivo perché sei padrone di te stesso ma coadiuvato da persone che remano nella tua stessa direzione. L’ambiente dei Caveau Studios, inoltre, è oltremodo stimolante, tant’è che moltissime persone si stanno trasferendo qui per registrare e finalizzare i propri progetti sia per quanto riguarda i dischi e sia i video. Aggiungo un’ultima cosa: conoscevo personalmente i membri della Mad Soul già da tanti anni e musicalmente per me erano già un esempio, un baluardo di stile e di gusto. Entrare a far parte della crew è stato un po’ come ritrovarsi nel proprio habitat naturale.

Intervista a cura di: Eleonora Sironi e Nicola Simonutti

 


Emma Chiavacci

Disagiata e nullafacente che risponde al nome di Emma. Sono un mix di musica, sushi, voglia di vivere e nicotina.

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