Eccomi, sono Metal Carter: Slasher Movie Stile è il ritorno del Sergente
Con il suo ultimo album Metal Carter si offre di accompagnarci, tenendoci saldamente per mano, in un solenne tour nei meandri delle sue più recondite perversioni.
Sveliamo ogni ipocrisia: Metal Carter “potrebbe dire di essere quello che non è, ma
alla fine è proprio quello che è“. Lo spazio concesso all’immaginazione è
strettamente limitato dalle incredibili doti descrittive dell’artista che concede all’ascoltatore
il privilegio di tangere, quasi sensitivamente, le lugubri immagini da lui
proposte nel grande classico stile truce.
Dalla virtù di Metal Carter, il solito, eterno, antagonista compiaciuto, nasce Slasher
movie stile, un album prodotto da Depha Beat che annovera
14 brani incluso l’elogio di Noyz Narcos: 36 minuti di pura tartare di carne.
Altri nomi di nicchia sottoscrivono l’opera, come: Numi, Suarez, Rak e Sedato Blend. Noyz Narcos, in “Death cult skit” definisce M.C. “il leader del death rap italiano” e penso che a tal proposito nessuno abbia da obbiettare, specialmente dopo quest’ultimo progetto. Immediatamente all’intro segue un brano che pone terreno fertile alla vera perla dell’album: Doccia di sangue. Ed è appunto una doccia di sangue nel senso più letterale quella che ci viene proposta, senza troppi fronzoli. “Cerco prostitute accasciate e stanche per mutilarle e farle divorare dalle larve” o “Il sangue è dappertutto, molto bene, e io finalmente mi sento bene” sono molto più esplicative di qualsiasi commento: Metal Carter (come egli stesso afferma) deve soddisfare la sua patologia. Il degno erede di Ed Gein vanta collezioni di parti anatomiche, cadaveri smembrati, corpi mutilati e volti squartati nella propria abitazione con cui svolge “rassicuranti” amplessi. Osa, osa e riesce a descrivere il sentiero che inizia dove la strada della salute mentale ha termine, e non deve a te delle giustificazioni, mai, anche se tra i suoi trofei si dovesse trovare un tuo parente. Lo stile è inconfondibile, il romano intinge la lama nel beat classico senza introdurre particolari innovazioni: questo disco è un parto standard in cui le urla della madre non sottraggono, ma anzi fanno eco, al pianto di una vita che nasce nel dolore e nel disagio.
Ne La Tela del ragno Metal Carter afferma di essere “predestinato al nulla fin dalla culla” e di avere l’onere di dover emergere, rompere la catena, sfatare il destino. In Bodom lo strazio della lotta, la contrapposizione tra l’ideale e il reale è espresso chiaramente più che mai: Metal Carter “vuole una vita favolosa. Vorrebbe scrivere rime d’amore. Amare una sposa” ma non può (“sorrido ma odio la vita profondamente faccio corpi a pezzi dillo a tua figlia adora carter che è il dio tuo innalza le chiese per il dio tuo quel cazzo di bottino non è il tuo maledetto sia il dio tuo”) Questo era Worship, sesto brano dell’album. Adorando la morte Carter si sente vivo: “dormo con la salma di una prostituta affianco, la notte mentre dormo sento il suo pianto non avere piani per domani è mostruoso come Pacciani. il sangue che scorre da emozioni stupende. In fondo essere vivo fa schifo, adorando la morte mi sento vivo” Questo è “morto e sepolto” e penso che lo spazio ai commenti sia assolutamente ridotto all’osso. Ma il vero capolavoro dell’album giunge con l’ultima canzone: “Pagliaccio di Ghiaccio Parte Terza”, dove l’autocitazionismo svolge un ruolo chiave nell’edulcorare ulteriormente quel senso di dolce malinconia, che nell’album comunque aleggiava, evocata definitivamente dalla tenera immagine di una nonna, questa volta la tua, stuprata e seviziata con un poster di Laura Pausini. Un grido, una firma: eccomi, sono Metal Carter.