Che io mi aiuti: Bresh ha retto da solo il peso dell’oceano
La Liguria, da qualche anno, è diventata una regione che ha saputo imporsi con grande vigore al centro della scena rap nostrana. Dall’estremo occidente dell’Italia una giovanissima generazione ha saputo rompere l’egemonia che da due decenni dominava il genere nella penisola, dominio presidiato da Milano, Roma, Napoli, Torino e Bologna. Queste città hanno da sempre funto da centri di formazione e catalizzatori per i rapper di ogni dove, come grandi dojo separati in cui affinare le proprie abilità.
Genova, dal canto suo, ha sempre fornito al nostro paese la più grande scuola di cantautorato e forse l’impronta musicale più riconoscibile dello stivale, dentro e fuori i confini nazionali.
La realtà Drilliguria è un movimento hip hop che raccoglie e amplifica le grandi tendenze liguri e che il pubblico ha imparato a conoscere nel corso degli anni: l’attitudine lirica, l’atmosfera sognante e la rivalsa di strada sono solo alcune delle caratteristiche di questo gruppo di amici – ed è bene sottolineare la componente del branco, forse la vera base su cui è costruito il collettivo – che hanno fornito grandi nomi al genere: oltre ai più celebri Tedua, Izi e Vaz Té sono membri di questa realtà Ill Rave, Nader, Sangue, Disme e per l’appunto Bresh.
Bresh non è certo un nome di primo pelo: il giovane è stato atteso a lungo da chi ne ha fatto conoscenza anni fa fuori dai confini liguri, trovandone probabilmente le prime tracce in Step by step, la struggente ballata contenuta nell’opera cardine Orange County Mixtape di Tedua, datato 2016.
Dopo un lungo percorso fatto di singoli, attese, collaborazioni e un album collettivo (Amici Miei, 2017) finalmente anche per Andrea arriva il momento della consacrazione: il 14 febbraio 2020, quasi quattro anni dopo l’approdo in punta di piedi sulla scena nazionale, esce il suo primo album Che io mi aiuti. Un traguardo che è quasi un sospiro di sollievo tanto per l’artista quanto per i suoi fan, grati di avere finalmente tra le mani l’impronta tangibile della musica del loro beniamino.
Arrivare al disco, tuttavia, non è stato facile. Nel corso di questi anni i brani sporadici di Bresh e la pubblicazione altalenante davano l’impressione che le indiscutibili capacità del giovane non trovassero la via giusta per esplodere, vittima di eventi che gli impedivano di prendere il largo dal mare di Zena. Un uomo solo sulla sua nave attendeva pazientemente che la tempesta passasse, cercando uno spiraglio di luce per poter iniziare il proprio viaggio e conscio del pericolo di salpare in un mare di squali che si motiplicano nel mercato musicale odierno e non hanno pietà di chi costruisce la propria musica con pazienza.
Le rare prove, tuttavia, hanno sempre messo in luce la poetica atipica di Andrea, capace con le sue semplici (ma mai banali) liriche di ritrarre un immaginario efficace costruito su semplici espedienti quotidiani: il bar di gestione familiare, il mare, gli amici, le ragazze e il tabaccaio della via. Vita di tutti i giorni di un ordinario ragazzo di città, sullo sfondo del placido lungomare.
Alla fine, con tanta fatica e senza mai arrendersi, la nave del pirata Bresh è riuscita a prendere il largo, e il risultato è un disco estremamente efficace: esito facilmente pronosticabile per chi ha seguito con attenzione questo percorso dalle poche ma significative tappe.
L’album è un riassunto di ciò che è Andrea e allo stesso tempo un manifesto della propria regione, in un rapporto simbiotico fra l’uomo e l’ambiente che lo ha prodotto. Poche le collaborazioni, ma tutte scelte con cura: Tedua, Rkomi, Izi e Vaz Tè formano un equipaggio composto dai compagni di una vita. Che io mi aiuti è una splendida cartolina di Genova, veicolo di tutti gli stilemi del rap ligure coniugati secondo la visione di Bresh: è un album che sa di salsedine e che trasporta l’ascoltatore in una notte stellata in riva al mare. Un ritratto che soddisfa chi segue il rapper da anni e un biglietto di presentazione adatto anche a chi ne ha letto il nome in qualche featuring dei “fratelli maggiori” e si appresta a conoscere solo ora questo artista.
Per comprendere al meglio questo lavoro bisogna partire proprio dagli estremi, ossia le porte d’ingresso e d’uscita costruite sapientemente. L’intro dell’album Scooter è quanto mai programmatica: il disco si apre con le scuse di Bresh per il suo ritardo, armato tuttavia della consapevolezza che il tempo impiegato è servito a confezionare il miglior prodotto per mettere in mostra le proprie qualità. Perchè in ogni caso, prima o poi, chiunque non si arrenda arriva a destinazione.
A fare da contraltare è la malinconica chiusura, il biglietto d’addio che mostra a chiare lettere le difficoltà di arrivare a realizzare i propri sogni in un mondo in cui non c’è tempo nè occasione per avere degli eroi, e il modello da seguire non può essere altro che sè stessi. Solo guardandosi dentro si può trovare la volontà per resistere alle pressioni esterne, per cambiare in meglio senza diventare dei mostri: per sorreggere con le proprie forze il peso dell’oceano.
In mezzo, istantanee che raccolgono diversi mood, fotografie disposte sopra tappeto sonoro curato da Shune con la partecipazione di Garelli e Chris Nolan: si passa dalla scanzonata Skit e dalla rasserenante title track alla malinconica Oblò (che vanta la collaborazione di Rkomi), passando per la folgorante Rabbia distillata, vera fotografia del malessere di periferia che tanto accomuna molti giovani dal futuro incerto di ogni dove. Bresh semplicemente si racconta, e nel farlo parla a chiunque sia all’ascolto: questa è la più sorprendente caratteristica del suo album, la franchezza di un giovane che ha fatto della propria quotidianità qualcosa di straordinario. Una storia come milioni di altre, descritta in un esordio che è senz’altro più di un semplice album pubblicato sui device di streaming.
Il lascito di questo album è infatti sopra ogni cosa un consiglio, espresso
con parole chiare e semplici dallo stesso autore del disco, raccontato con vivida
emozione durante la presentazione a cui abbiamo assistito in
Sony: “Che io mi aiuti è il consiglio di cercare di ottenere sempre
il massimo da voi stessi. Siate responsabili verso voi stessi, non puntate mai il dito verso
nessuno. Che io mi aiuti è il mio consiglio per tutti voi.”
Parola di Andrea.
Scritto da Nicola Los Simonutti e Cristiano Prataviera